(… teaser …)
È ormai considerazione diffusa: quando il Coronavirus sarà solo un ricordo, lo saranno anche molte delle nostre quotidiane abitudini. Oltre alle barriere mentali, perlomeno iniziali, nel ritorno ad abbracci, baci e pacche sulla spalla - perché proprio non riusciamo a farne a meno - uno degli aspetti che ne uscirà profondamente modificato sarà quello lavorativo. Senza badare alle criticità economiche, che di certo meriterebbero approfondimenti e riflessioni, il punto riguarda le modalità di lavoro. Sveglia, caffè e via verso l'ufficio o la propria azienda: sarà ancora questa la routine del futuro? Oppure riusciranno molte aziende italiane a fare tesoro di questo periodo di crisi per rinnovare la concezione dei tempi e delle modalità di lavoro?
(… panoramica …)
In questi giorni si fa un gran parlare di smart working, ovvero un nuovo approccio lavorativo che concepisce l'ufficio “solo" come luogo di incontro, le tecnologie poi fanno il resto, garantendo flessibilità e mobilità ma, allo stesso tempo, pretendendo dal lavoratore un senso di responsabilità e organizzazione: niente più orari e luoghi prestabiliti ma lavoro incentrato sul perseguimento degli obiettivi entro determinate scadenze.
Certo, lavorare da casa o da un qualsiasi altro posto nel mondo può apparire semplice ed entusiasmante, ma mettiamo subito le cose in chiaro: lo smart working non è da tutti e per tutti. Innanzitutto non si presta a ogni tipo di lavoro, e quindi a ogni azienda, ma, aspetto spesso sottovalutato, necessita di capacità non indifferenti da parte del lavoratore.
(… zoom …)
“Non importa quando e dove lo fai, importa il come” è quello che potrebbe dire il capo di un’azienda che decide di adottare il metodo dello smart working prediligendo quindi obiettivi e risultati. Lavorare da casa per i più fa rima con lavorare meno, avere più tempo libero, dare una sbirciata più spesso al frigo ed evitare di svestire il pigiama: bene, se siete convinti di ciò, sappiate che molte di queste considerazioni sono false, o quantomeno vere solo in parte. In altre parole: no al pigiama h24, sì a sveglia, doccia e vestiti preferiti.
Home sweet home, casa dolce casa, questo è uno dei punti chiave: la vostra stanza diventerà il vostro ufficio, dev'essere pulita e ordinata, attrezzata e per certi versi blindata, perché se vostro figlio “spegnerà” il vostro momento di concentrazione, magari per chiedervi dove sono finite le sue ciabatte, o vostra mamma vi interrompe puntualmente per chiedervi cosa volete mangiare a pranzo, ecco, forse emergerà in voi l’esigenza di disporre di uno spazio lavorativo fuori dalle mura domestiche e non è del tutto remota l’ipotesi che vi ritroverete a rimpiangere il vostro vecchio ufficio.
(...climax...)
"Però non rimpiangerò il mio datore di lavoro", starete pensando. Forse questo è vero, ma ad una condizione: siete voi il vostro nuovo capo, sarete voi a svestire i panni di Dr. Jekyll e indossare quelli di Mr. Hyde, e viceversa. Sarete voi, in altre parole, a darvi degli ordini e a rispondere "sissignore". E attenzione: se con voi stessi utilizzerete troppa carota e poco bastone, troppe sbirciate nel frigo e pochi momenti di concentrazione, finirete presto per "autolicenziarvi".
"Però non avrò più orari da rispettare", direte. Vero. Ma orari non vuol dire regole, e le regole riguardano anche gli orari. In che senso? Non avere orari non vuol dire lavorare di meno, come spesso erroneamente si crede, anzi molte volte è l'esatto opposto, specie se lavorare di più non arricchisce il vostro capo ma voi stessi. Ci saranno momenti in cui dovrete fare una pausa, ci saranno deadline da rispettare per il vostro bene, arriveranno delle richieste in orari improbabili perché tanto “ha sempre il computer con sé, ci metterà un attimo a sbrigare questo compito”. In questi casi tutto diventa più complicato e la cosa più difficile da fare è dire a se stessi "questa la gestirò domattina, sono le 21:00 e per oggi può bastare".
Quando pensiamo al nostro futuro lavorativo non dobbiamo solo chiederci se le aziende saranno pronte a questo cambio di rotta, la domanda da porci è: siamo noi, prima di tutto, veramente pronti a questa rivoluzione della cultura del lavoro?
Autore
Gabriele Durante
Comments